Negli anni scorsi, lavorando come promoter, trascorrevo molte ore dentro i centri commerciali dove, nei momenti di pausa, potevo osservare varia umanità di cui tante volte ho già parlato.
Umanità molto variegata, penso che solo il Papa e qualche sovrano siano immuni da incursioni in questi luoghi.
Tra i frequentatori ci sono quelli che trascorrono l’intera giornata proprio là dentro poiché non hanno più nulla da fare, non hanno una casa oppure, se ce l’hanno, soffrono di solitudine e quella diventa la loro famiglia inconsapevole.
Osservando certi volti si vede quante anime abbandonate trovano rifugio in questi non luoghi che, per tanti lavoratori, rappresentano una odiosa residenza forzata durante i giorni festivi.
So che cosa significhi avere l’obbligo di lavorare nei momenti in cui la maggior parte delle persone godono del tempo libero, non solo perché ho amiche dipendenti di un grande marchio dell’elettronica, ma perché anch’io ho lavorato quattordici anni in una struttura dove la mia presenza era richiesta per undici mesi consecutivi e gli unici giorni di non lavoro erano Natale e capodanno.
Dal mio osservatorio mentale capisco che, sia da parte dei beneficiari di questi spazi d’accoglienza, sia da parte di chi vi presta servizio, ci sono, benché diametralmente opposte, importanti sofferenze esistenziali.
Se da una parte vedo persone che, per lavorare, sottraggono pezzi di vita in famiglia, allo svago e, talvolta, anche alla salute, dall’altra ci sono quelli che, privati dei non luoghi, non avrebbero neppure l’illusione di tutto ciò.
Derelitti con facce segnate da disperazione, isolamento e abbandono stanno tutto il giorno seduti là in attesa che arrivi sera, mentre gli altri si domandano “ma cosa ci fanno tutto il giorno qui, non hanno niente da fare? Una casa non ce l’hanno?”
Temo non sia facile trovare risposte…

Ci sono stati anni della mia vita, specie gli ultimi, in cui ero totalmente perso. L’unico posto in cui riuscivo a non sentirmi tale, erano i centri commerciali. Avevano un effetto lenitivo sul mio malessere. Scrivo questa cosa con un po’ di vergogna.. ma almeno cerco di superarla.
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Non devi vergognarti, so bene di che cosa stai parlando. Certe sofferenze sono difficili da addomesticare.
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Per mia fortuna non ho la necessità di andarci e non sono nemmeno troppo vicini al mio paesello. Pensavo che con la crisi ci si andasse di meno nei centri commerciali. Ricordo quando qualcuno mi raccontava, una ventina d’anni fa, di aver trascorso tutta la giornata con tutta la famiglia in un grande centro commerciale, mangiando alla tavola calda e girovagando per i vari negozi, come se fosse stato in vacanza o al luna park.
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Qui succede proprio così anche adesso.
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Io, personalmente, li evito come la peste proprio per ciò che racconti. Mi danno una tristezza infinita. Non ho risposte, penso solo che i centri commerciali siano spazi di coercizione.
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Hai passato sotto lo scanner un ‘non luogo’ molto frequentato, regalandoci riflessioni e facendone scaturire domande.
Provo a risponderti.
Sono le moderne chiese dove si officia, con altre parole ma quasi con lo stesso dissacrante vuoto. Un ‘non luogo’, brulicante, serve e riempire un vuoto perchè ormai siamo privati di altri credo che non sia il Dio denaro, in qualche modo inventati dall’epoca surmoderna, intesa come ulteriore evoluzione del postmodernismo.
Questa epoca, con le sue caratteristiche, è un prodotto della globalizzazione, ovvero quel processo di unificazione dei mercati a livello mondiale, consentito dalla diffusione delle innovazioni tecnologiche che hanno spinto verso modelli di consumo e di produzione sempre più uniformi; si assiste, infatti, a una progressiva e irreversibile omogeneità nei bisogni e a una conseguente scomparsa delle tradizionali differenze tra i gusti dei consumatori a livello nazionale o regionale.
Questo fenomeno è riscontrabile anche nell’architettura delle città, che aspira per lo più ad essere riconosciuta a livello mondiale, andando così a tralasciare le caratteristiche storiche e particolari del luogo di costruzione.
Il testo completo file:///C:/Users/UTENTE/Downloads/8._Nonluoghi.pdf
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Vero… sono posti con poesia ma di quella “brutta” che c’è nella periferia in generale…
Questa estate hanno trovato una persona morta da giorni in un angolo nascosto del parcheggio sotterraneo del centro commerciale da me
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Urca, proprio l’abbandono totale eh…
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Già..
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Ecco, luoghi dove l’indifferenza regna fanno umanamente paura 😕
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Già!
E sono troppi i motivi che portano a certi eccessi…
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Questo articolo dovrebbe essere affisso fuori da ogni centro commerciale. Capisco ogni riga, una volta ho provato le stesse cose
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Grazie Alberto! 😀
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Ecco, lì mi sento pesce fuor d’acqua perché se vado di solito entro rapido, cerco ciò che mi serve e altrettanto rapidamente esco…
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Quando ci lavori dopo un po’ ti sembra di essere a casa, fai l’abitudine al casino, ai cessi maleodoranti, impari a mangiare porcate (in questo caso io sono autodidatta, anzi posso insegnare), poi ti gardi in giro e vedi gli altri..
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😂😂😂 credo di non essere mai entrato in un cesso dii un centro commerciale e però, qualche volta per lavoro ricordo dii aver mangiato anche io schifezze visto che non c’erano alternative vicine…sigh…che tocca fare per sopravvivere!😬
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Comunque c’è un’ampia scelta di porcate eh…
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Ahahah si si, non lo metto in dubbio e del resto credo che i marchi presenti siano un po’ gli stessi ovunque.
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Penso che se avessi scritto questo post, l’avrei scritto quasi identico… ho fatto anche io la promoter tempo fa…. cmq c’è di tutto nei centri commerciali… specialmente la domenica. In sostanza, cerco di evitare di metterci piede, ma se ci vado, faccio i giri che devo fare e scappo😬😬
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Io ho le amiche che ci lavorano perciò, quando ci si vede, quello resta il punto d’incontro perché abitiamo in paesi diversi, tutti sparsi attorno a quella zona.
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Gran bell’analisi. Hai preso in considerazione sia l’una che l’altra parte, ammirevole.
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Grazie, è quello che si vede in giro, è sotto gli occhi di tutti, ma pochi ci fanno caso. :-*
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Il centro commerciale dove faccio spesa di solito è poco frequentato in wuwsto senso, però ci sono coppie di anziani che s’incontrano al bar interno e passano wualche ora lì a chiacchierare.
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Quello che abbiamo qui è grande c’è la galleria lunghissima e piena di negozi, bar, ristoranti, gelateria, giostre per bambini, persino il parco esterno per far giocare i cani, cinema e altre strutture.
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Questo tipo di centri li trovo a Roma, tipo Auchan.
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Noi qui in Lombardia abbiamo solo l’imbarazzo della scelta e, in Piemonte, a 30 km da casa mia c’è l’Outlet di Serravalle Scrivia, una città fatta di soli negozi a marchi super prestigiosi non solo abbigliamento, ma anche casa e sport. Da Versace, D&G, Moschino e compagnia bella ci sono prezzi da incubo e sono frequentati solo da arabi, russi, cinesi molto ricchi. Noi andiamo a vedere le vetrine, ma non ci fanno neppure antrare.
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Addirittura! A Roma e nell’area è pieno di centri commerciali enormi, ma io non li ho mai visitati, salvo Auchan dove sono Leroy Merlin e Ikea.
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L’outlet di Serravalle Scrivia è veramente pazzesco.
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Ne cercherò le immagini
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