Opinione

FEMMINICIDIO: NO GRAZIE!

 

Fresca di conio questa espressione sta ottenendo un grande successo di pubblico. Disgraziatamente!

Sì, è il caso di dire disgraziatamente perché si riferisce a notizie sempre più fitte su casi di donne morte ammazzate da uomini che spesso sono parenti, amici, mariti e non solo molestatori o violentatori nei quali la vittima è sfortunatamente inciampata.

Non mi piace questo termine perché, a mio avviso, dà l’impressione di un’ulteriore affermazione di sottomissione delle femmine nei confronti dei maschi.

A parte la ovvia inferiorità in forza fisica nel senso stretto della parola, tutto il resto la donna lo ha in maniera uguale e anche superiore. La stessa forza fisica è superiore per quanto concerne resistenza a fatica e sopportazione di sofferenze e dolori materiali e morali, due esempi per tutto: mettere al mondo figli e la capacità di vivere sole.

Chi scrive, ossia la sottoscritta, racconta per esperienze dirette sia come vittima di pedofili, sia di uomini violenti. Evito i dettagli perché non è dei fatti miei che voglio parlare, intendo solo precisare che non blatero “per sentito dire”.

La cosa più importante che ho capito alla “scuola delle vittime designate” (la chiamo così poiché non esiste uno standard sociale, il dramma colpisce tutti i gradini della scala) è che ogni donna deve imparare a conquistare sé stessa innanzitutto per sé stessa, prima che il ruolo di moglie, madre, figlia, compagna di chiunque.

So che è molto difficile e tanto dipende dalla solidità della famiglia in cui si nasce e si cresce, infatti gli esempi che abbiamo intorno e le precarie sicurezze alle spalle condizionano fortemente la nostra personalità. Sappiamo che genitori deboli, assenti o sottomessi, non formano la prole che si deve arrangiare guardando altrove e, a volte, questo altrove è negativo.

Cerco di maneggiare l’argomento con le pinze più leggere, consapevole di quanto delicato sia dire o dare anche soltanto opinioni in merito. Ma, proprio perché profondamente segnata, offro la testimonianza su come ho cercato di recuperare i cocci di me stessa ricomponendo una personalità devastata proprio negli anni più fragili della formazione di un individuo: infanzia e adolescenza.

Autostima, amor proprio, dignità, consapevolezza del proprio valore sono le fondamenta su cui lavorare tenacemente, anche se, e proprio perché ne siamo state defraudate inconsapevolmente.

Acuire tutti i sensi, principalmente l’istinto di sopravvivenza come fanno gli animali, quindi imparare a riconoscere chi può farci male.

Essere intuitive, usare bene la nostra intelligenza, mai temere la solitudine perché non c’è solitudine peggiore di quella che avvertiamo quando stiamo con qualcuno che ci trascura o ci maltratta.

Conosco donne disposte a sopportare qualunque umiliazione pur di avere un uomo accanto. Qualcuna usa anche il triste espediente di fare figli non per desiderio di maternità, ma nel tentativo di rafforzare un legame consunto o peggio ancora agganciare un maschio di passaggio, senza preoccuparsi delle conseguenze che questo gesto avrà sia sui nascituri sia sulla donna medesima che quasi certamente dovrà tribolare per tutta la vita.

Non spetta a me esporre una relazione sui segnali comportamentali che dovrebbero metterci in allarme di fronte a un compagno manesco e irrispettoso, ma è abbastanza palese che, se questi atteggiamenti diventato abituali, non ci sono scuse, promesse o pentimenti che tengano: il destino della relazione è segnato, saremo calpestate e perseguitate sempre!

Purtroppo, spesso e volentieri incontriamo i nostri aguzzini in giovane età, quando ancora non abbiamo esperienze di alcun genere. Io stessa, avendo conosciuto il mio persecutore non ancora quattordicenne, se non fossi stata salvata da un evento totalmente indipendente dalla mia volontà, sarei stata obbligata, sia per paura sia per impossibilità di svincolarmi, a subire per il tempo e nei modi che mi erano imposti, anche fino alla morte, se lui lo avesse voluto.

Il destino ha deciso diversamente per me e per lui, ma la mia vita è iniziata diciannove anni dopo la nascita perché prima ero in purgatorio e, costruire un’esistenza su queste fondamenta è assai arduo. Io ci ho provato e continuo a farlo, ma trovare la serenità per me è stato impossibile, perciò non voglio scrivere nel mio vocabolario la parola femminicidio per indicare lo sterminio massiccio di una specie vivente che dovrebbe essere “l’altra metà del cielo”.     

 

 

 

 

 

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