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Giulia e i vermi*

*Prodotto da intelligenza naturale NO AI

Storiella pubblicata nel libro “La bambina surgelata e altri racconti”

“So che è difficile vivere col terrore di coricarsi la sera e non si vorrebbe mai veder arrivare il momento di andare a letto. La capisco perfettamente signorina Giulia, ma non si preoccupi, vedrà che parlandone e raccontando tutto ciò che ricorda verremo a capo di questo suo problema, scopriremo il motivo dell’incubo e lo faremo scomparire. Abbia fiducia. Dunque: lei non ha mai sofferto di crisi depressive, e non crede di avere malesseri interiori. Questo lo dice la sua parte cosciente, ma noi sappiamo che i sogni spesso arrivano dall’inconscio, perciò dobbiamo cercare di scoprire ciò che la mente nasconde.

Tanto per cominciare mi racconti questo incubo che non le dà pace.”

“Ormai sono circa otto mesi che mi perseguita, ed è strano perché…ecco è come se fosse a puntate. Ossia, ogni volta che torna, c’è un pezzetto in più o qualcosa di nuovo che prima non avevo notato. Però non so se riesco ad essere chiara, non è semplice, poiché appena mi sveglio ricordo tutto, poi durante la giornata le immagini tendono a sfocarsi e perdo alcuni particolari.”

“Intanto le suggerisco di prendere immediatamente appunti, appena desta, e durante la giornata cerchi di scrivere dettagliatamente tutto quanto è accaduto in sogno.

So di chiederle un bel sacrificio, anche perché così facendo vive nell’incubo continuamente, però è il sistema migliore.”

 

Giulia si accomodò meglio sulla poltrona e iniziò a raccontare:

“E’ quasi sempre il crepuscolo, i colori sono uniformi sul marrone, come nei film un po’ scoloriti. Sto tornando a casa dal lavoro serena e soddisfatta, carina, elegante, il passo spedito; la gente per strada mi saluta cordialmente e mi osserva sorridendo.

Poi, all’improvviso, comincio a vedere le facce di qualcuno deformarsi, assumere un aspetto mostruoso. Man mano che procedo, tutti cambiano, finché arrivo vicino a casa e sono circondata da mostri orrendi che si trascinano come vermi, sbavano spruzzando liquidi immondi e puzzolenti. Io sono in preda al panico, corro verso casa, apro affannosamente il portone ed entro, il cuore mi scoppia nel petto e quasi mi manca il respiro, sono madida di sudore e mi sento svenire.

Ecco, le prime volte, il sogno si interrompeva a questo punto.

In seguito ho iniziato a sentire – ancora per strada – passi veloci dietro di me e una voce che mi chiama; ma io non ascolto e fuggo dentro casa terrorizzata.

Nelle…be’ io le chiamo “puntate successive” – per comodità – riesco a vedere la persona; è un uomo normale, poi io mi fermo, parliamo e lui dice di volermi aiutare, di non aver paura e non preoccuparmi perché quegli esseri immondi non sono malvagi. In realtà siamo io e lui diversi, siamo noi i mostri; loro assumono il nostro aspetto per non spaventarci e metterci a nostro agio, per non farci sentire emarginati. Sono buoni, ci amano e non vogliono che il corpo “umano” interferisca nella nostra vita che è esattamente come la loro.

Poi scopro che non siamo sulla terra, ma nemmeno in un altro pianeta, semplicemente in un mondo vicino al nostro, dove io ho ancora un aspetto umano, ma è lì che devo stare e devo vivere, cercare la mia vera essenza per diventare come loro. Insomma credo che nelle prossime puntate diventerò un mostro anch’io.

Lei cosa ne dice?”

“Mhmm – il dottor Sacchi si accarezzò il mento cercando le parole adatte per esprimere il suo pensiero – è indubbiamente un messaggio che le sta inviando il subconscio, bisogna fare una profonda analisi. Adesso interrompiamo la seduta, ci rivediamo lunedì, intanto studio la registrazione.

Arrivederci Signorina.”

 

Non era soddisfatta, ma si sentiva sollevata, perché era riuscita a parlarne con qualcuno. Il pensiero di dividere l’incubo con un’altra persona, lo alleggeriva notevolmente, togliendogli la drammaticità della solitudine notturna.

A casa, la madre si informò sull’esito di quel primo incontro col dottor Sacchi, anche se non conosceva il motivo per cui la figlia aveva deciso di ricorrere allo psicanalista; lei considerava quell’esigenza un vezzo delle ragazze moderne che non avevano niente di meglio cui pensare.

Giulia liquidò velocemente l’argomento affermando che le prime visite servivano a far conoscenza, poi la donna si sarebbe abituata all’idea e non avrebbe più fatto domande. Non voleva raccontare a nessuno il suo tormento, era convita che non l’avrebbero capita, perciò preferiva dividerlo con un estraneo che per mestiere aveva scelto di ascoltare le altrui stramberie cerebrali.

La notte trascorse tranquilla, senza incubi né sogni, quantomeno non ne ricordava.

La sera seguente andò al cinema con Paolo, un collega di lavoro. Mentre lui l’accompagnava a casa in auto, discutevano sullo spettacolo appena concluso; pioveva e Giulia osservava i pochi passanti, improvvisamente smise di parlare con l’amico e proruppe con un’esclamazione di sorpresa: “Ma che diavolo è…”

“Cosa hai detto scusa? Non ho capito.” Disse lui.

“Niente, niente. Mi sembrava di aver visto…oh niente, forse sono un po’ stanca, meglio se mi porti subito a casa.”

“Ci vediamo domani, buonanotte.” Paolo si congedò, allontanandosi velocemente.

 

Non voleva pensare a quello che credeva di aver visto, però non riusciva ad evitarlo, l’immagine di quel “coso” che spariva nel vicolo buio, non l’abbandonava proprio.

‘Ma sì, con i vetri appannati, le gocce di pioggia e la luce dei lampioni, chissà cosa ho visto, è stata autosuggestione. Però ne voglio parlare col dottor Sacchi, il fatto di aver creduto di vedere un mostro dei miei incubi, è da analizzare.

Meglio andare a dormire. Mi sento in ansia, prenderò un sonnifero perché voglio riposare.’

Anche quella notte non portò immagini angoscianti e Giulia cominciava a sentirsi più serena, perché il timore di evocare nuovi mostri parlandone sembrava infondato.

Due giorni dopo, però, accadde un episodio che la turbò profondamente: mentre aspettava l’autobus guardando distrattamente le vetrine, vide riflesso nel vetro, dall’altro lato della strada, uno dei suoi mostri che sembrava gesticolare rivolgendosi proprio a lei, come se volesse parlarle. Giulia si voltò di scatto, ma vide solo persone normalissime sull’altro marciapiede, poi guardò ancora la vetrina e questa volta vide un gruppetto di quegli esseri che, non solo cercavano di attirare la sua attenzione, ma sembravano sofferenti, come preoccupati per non riuscire a comunicare con la ragazza.

Tornò a casa sconvolta e telefonò subito allo psicologo per raccontare il fatto.

Lui la tranquillizzò dicendo di non preoccuparsi, che potevano succedere episodi del genere, e che era pronto a riceverla in anticipo se le poteva servire.

Lei si scusò e confermò l’appuntamento deciso in precedenza.

Questa volta il sogno era il seguito della realtà, gli esseri attraversavano la strada e le parlavano, ma non riuscivano a farsi capire, e seguivano Giulia che fuggiva terrorizzata.

Si svegliò urlando sconvolta, si alzò a bere un bicchiere d’acqua, poi accese una sigaretta ed attese l’ora per andare al lavoro.

 

Finalmente giunse il giorno della seduta col dottor Sacchi. Gli raccontò tutto senza nascondere la propria angoscia e l’orrore provato, esprimendo il timore di perdere l’equilibrio mentale.

“Dottore non starò diventando pazza? Ora li vedo anche di giorno, mi sento perseguitata e inoltre mi vengono strane idee. Comincio a pensare che sia una punizione perché ho deciso di parlarne a lei, come se volessero vendicarsi perché tento di liberarmi dall’incubo. Ho paura.”

“Signorina Giulia, lei è una persona intelligente, realista. Ne abbiamo parlato la volta scorsa, lei stessa mi ha detto che non ha grossi problemi di carattere psicologico. Non si metta in testa idee sbagliate, non si faccia prendere dal panico. Questo è panico, resti tranquilla, non succede niente.  E soprattutto non perda la lucidità mentale.

I mostri che lei sogna, potrebbero essere un rimasuglio d’infanzia occultato dalla mente, qualche spauracchio visto sui libri o raccontato da chissà chi, che ritorna a galla in un momento di particolare stress.

Ma per cortesia non mi dica che crede di aver visto davvero quei…quei lombrichi. Diamine!”

“Dottore, oggi non mi sento di proseguire la seduta, mi scusi.

Le telefonerò per un altro appuntamento.”

Si alzò ed uscì senza nemmeno dargli il tempo di rispondere.

 

Decise che non sarebbe tornata dal Dottor Sacchi, era troppo freddo e distaccato, non prendeva seriamente la sua angoscia, non la capiva. Per il momento avrebbe sospeso l’analisi, cercando di risolvere da sola il problema; forse in un secondo tempo ci avrebbe riprovato, ma ora preferiva non parlarne più.

La sera si mise a letto dopo aver ingoiato due pillole, voleva riposare tranquilla senza pensare a niente.

Ci riuscì, ma il giorno successivo si sentiva spossata e depressa, non aveva voglia di andare al lavoro, perciò si recò dal medico di famiglia e si fece prescrivere una settimana di malattia; doveva meditare in solitudine e senza altri pensieri, voleva mettere ordine nel cervello, analizzando a fondo la situazione. Era certa di poter risolvere tutto con calma e senza interferenze estranee.

 

La primavera inoltrata aveva portato un dolce tepore che invitava a stare fuori casa, perciò Giulia ne approfittò per concedersi lunghe passeggiate distensive.

Trascorse i primi due giorni serenamente, andò al mercato, fece acquisti e gratificò il suo palato con abbondanti porzioni di gelato, una prelibatezza che aveva sempre apprezzato molto.

Riteneva di aver avuto un’ottima idea concedendosi quella breve vacanza, perché stava meglio ed era convinta che dopo quel periodo di riposo avrebbe dimenticato mostri, incubi e i tormenti che l’avevano assillata negli ultimi tempi.

“Probabilmente ero un po’ esaurita e non me ne rendevo conto – diceva fra sé – ogni tanto è necessario allontanarsi dalla routine quotidiana, lo stress può manifestarsi in tanti modi e a me sono toccati gli incubi. Ma da quest’anno, anziché attendere agosto per riposare, spezzerò la monotonia con un paio di settimane in autunno e primavera. Stavo lavorando troppo e non me ne ero accorta.”

Il terzo giorno decise di fare una gita in bicicletta, il sole splendeva nel cielo azzurro senza nuvole. Giulia stava proprio bene, si sentiva in forma, il corpo rispondeva energicamente agli stimoli imposti dal movimento e il suo cervello, ossigenato dall’aria tersa della campagna, aveva ritrovato una piacevole serenità.

Pedalò per un paio d’ore, poi decise di concedersi una sosta. Si fermò sotto un albero, in mezzo a un bel prato coperto di margherite e si distese sull’erba.

“Che meraviglia – pensava osservando le foglie mosse da una delicata brezzolina – non bisognerebbe mai dimenticare questi semplici piaceri che ci sono offerti gratuitamente dalla natura. Ormai non si fa altro che correre freneticamente per raggiungere obiettivi, senza nemmeno sapere quali siano esattamente, perché è d’obbligo vivere così, lo fanno tutti. Per non sentirsi emarginati ci si comporta come automi, dimenticando che esistono altre cose oltre al lavoro. Bisogna far carriera per inserirsi in questa società che la maggior parte delle volte ci trascina alla vecchiaia senza averci permesso di vivere davvero.”

 

Una piacevole spossatezza portò un benefico torpore che le permise di assopirsi languidamente.

Rimase sdraiata sotto l’albero finché un fastidio alle gambe la destò. Sollevò il busto e stropicciò le palpebre per mettere a fuoco le pupille. Aprì gli occhi e immediatamente appoggiò le mani sull’erba ritraendosi inorridita. Non capiva cos’era successo, ma aveva l’impressione che il volto e la bocca fossero coperti di terra, respirava faticosamente e cominciò a tossire, poi li vide. I mostri erano lì, intorno a lei, e stavano leccando le sue gambe coprendole di bava.

In preda al terrore, Giulia si alzò di scatto, prese la bicicletta e tornò sulla strada, quindi pedalò come un’ossessa fino a casa senza fermarsi e senza quasi prender fiato. Appena chiusa la porta, corse in bagno e aprì la doccia, ma non v’era traccia di terra, né sugli abiti né sul pavimento. Quando riacquistò il controllo di sé, si spogliò, infilò un accappatoio e sedette sul divano. Solo allora ebbe l’impressione di riprendere coscienza e di poter usare di nuovo il cervello.

“E’ evidente che ho avuto nuovamente un incubo. Ma come può essere successo? Stavo così bene, ero tranquilla, non ricordavo neanche più i mostri…ed eccoli tornare all’improvviso più vispi e reali di prima. Sì perché quell’orribile scena non sembrava per niente un sogno, io li sentivo addosso, sentivo i loro umori vischiosi scendere sulla pelle. Che sensazione schifosa, e poi erano così grandi e così veri, lì addosso a me. Però i loro occhi…non mi facevano paura, avevano un’espressione…triste. Ma come posso ricordare tutte queste cose con tanta lucidità, sono stata talmente rapida a fuggire…

Be’ è facile spiegare, stavo sognando e ora ricordo il sogno per intero oppure, oppure era tutto vero…ma cosa vado pensando, no, no, così non va bene. Devo calmarmi. Non starò mica impazzendo?

Domani telefono a quell’analista che mi ha raccomandato Laura.

Sì è meglio, voglio provare con lui, forse potrà aiutarmi. Spero sia più bravo del dottor Sacchi.”

Riscaldò il latte, lo mescolò con un’abbondante dose di rum e lo sorseggiò ingoiando tre pillole, quindi si mise a letto cercando di dormire.

Non fu una notte tranquilla. Nonostante i calmanti e il liquore, si agitò sino al mattino destandosi continuamente in preda ad una tosse violenta; i mostri non c’erano, ma ogni volta che chiudeva gli occhi sentiva il peso della terra soffocarla e toglierle il respiro.

 

Alle otto era davanti alla porta dello studio Cassini, non aveva appuntamento, non si era nemmeno premurata di telefonare. Fortunatamente il dottore era già lì; intuendo le condizioni poco felici in cui si trovava la paziente, sospese le altre sedute e si dedicò a lei tutta la mattina.

Restò ad ascoltarla in silenzio per quasi tre ore, dandole modo di esternare la sua angoscia, cercando di capire la natura del suo tormento.

 

Quando Giulia smise di parlare, lui la visitò accuratamente; cuore, polmoni e gli altri organi vitali erano in buone condizioni, solo la pressione era leggermente alterata.

“Tutto sommato, è comprensibile. Comunque adesso deve cercare di stare tranquilla, altrimenti non riusciamo a combinare nulla di buono. Le prescrivo un farmaco nuovissimo, nell’assunzione segua attentamente le mie istruzioni. Per il momento dobbiamo pensare a rimetterla in sesto, poi penseremo al da farsi, adesso è troppo scossa per intraprendere una terapia efficace.

Faccia come le dico e torni fra tre giorni. Se ne sente il bisogno mi chiami in qualunque momento del giorno e della notte. Le scrivo anche il mio numero di casa.”

Giulia, un poco sollevata, lasciò lo studio del medico. La confortava l’idea di poterlo interpellare qualora ne avesse sentito la necessità.

Passò in farmacia e acquistò le medicine. Quello stesso giorno avrebbe dovuto fare due iniezioni con un potente ricostituente del sistema nervoso, poi assumere quelle nuove pillole sospendendo le precedenti. Lo psicanalista le consigliò anche una dieta ricca di minerali e vitamine perché, probabilmente, aveva carenza di qualche sostanza importante per l’organismo. Le chiese di fare le analisi del sangue, delle urine e, soprattutto, di interrompere l’attività lavorativa a tempo indeterminato, almeno sino a quando la situazione non fosse migliorata.

Giunta a casa, fece una rapida doccia, cenò e disse alla madre che l’indomani si sarebbe trasferita nel monolocale che aveva affittato in periferia. Pensava che avrebbe potuto curarsi più agevolmente senza gente intorno.

Nei giorni successivi seguì meticolosamente le indicazioni del medico. Si sentiva inquieta, ansiosa, però i farmaci sembravano funzionare; non aveva incubi e la notte riusciva a riposare discretamente. L’appetito non mancava e si concedeva ogni golosità che le passava per la mente. Aveva deciso di prendersi cura di sé in modo esemplare, di volersi bene. Voleva tirarsi fuori da quella brutta storia, ci sarebbe riuscita ad ogni costo.

 

I risultati delle analisi non segnalarono particolari problemi. Sì, c’era una lieve carenza di potassio e ferro, ma nulla di preoccupante.

“Bene – disse il dottor Cassini – le condizioni fisiche sono soddisfacenti, perciò possiamo iniziare a curare l’anima.

Si sente pronta?” Chiese dolcemente.

“Sì dottore, la cosa che voglio con tutte le mie forze è dimenticare quei mostri e tornare a vivere tranquilla la mia monotona esistenza. Voglio starmene in pace, non chiedo altro. Sono pronta a ricevere il suo aiuto e a collaborare nel migliore dei modi.”

“Allora ricominciamo da capo; mi racconti tutto dalla prima volta che ha sognato i mostri.”

Giulia raccontò nei minimi particolari ogni incubo, e spiegò quello che era successo nell’ultimo periodo. Non trascurò nulla, diede un’accurata descrizione dei mostri e delle situazioni che aveva creduto di vivere nella realtà, senza dimenticare lo sguardo particolarmente triste dei vermi.

Procedendo nel raccontare i vari episodi della vicenda, si accorse che non considerava più quelle creature come persecutori, ma aveva la sensazione che fossero diventati benevoli nei suoi confronti, quasi amici. Poi, ricordò l’uomo che nel sogno la invitava a non temere, dicendo che le creature degli incubi in realtà l’amavano.

Strano: non v’era più traccia di orrore e disgusto nel suo racconto, come se parlare col nuovo psicanalista fosse un medicamento portentoso che l’induceva a mutare opinione sull’accaduto, disponendo quegli episodi – sogni o realtà – dentro la sua vita, come inevitabile evoluzione dell’esistenza.

 

La seduta era terminata e Giulia si sentiva in discrete condizioni fisiche e mentali.

“E’ proprio in gamba questo medico – pensava tornando a casa – sarà il suo modo dolce e pacato di usare la voce, l’aspetto rassicurante, oppure le cure più efficaci, comunque io mi sento meglio.

Cari mostri, sono disposta a conoscervi ed ascoltare ciò che avete da dirmi. Così magari, dopo, ve ne tornate nel vostro mondo. 

Chissà, forse si tratta di qualche strana creatura di un altro pianeta che chiede aiuto ed ha scelto me per comunicare con i terrestri. Però con tutta la gente che c’è proprio io dovevo essere la prescelta…e chissà chi è il tipo che mi rincorreva per strada, sono sicura di non averlo mai visto.

Uffa, basta pensare. Adesso faccio l’iniezione, poi preparo una gustosa cenetta; prima di andare a letto un buon latte e cognac con le mie pastigliucce e buonanotte Giulia.”

 

E fu proprio un sonno profondo per Giulia perché si addormentò immediatamente appena toccò il letto. Ma non si svegliò più. Almeno non in quella vita.

Il medico legale certificò che il decesso della poveretta era stato causato dal miscuglio di alcool e barbiturici, senza precisare se si trattava di suicidio o incidente.

 

Giulia stropicciò le palpebre e rimosse con le mani la terra che copriva il suo volto; era buio, ma riusciva ugualmente a vedere i vermi intorno a lei, erano tantissimi e la osservavano con sguardo bonario.

“Finalmente siamo diventati amici, sai che non vogliamo farti male. Brava, hai capito tutto.

Sappiamo che all’inizio è difficile accettare la nuova condizione in cui ci si trova. E’ capitato anche a noi.

Improvvisamente ti trovi sotto terra, ti sembra di soffocare e vedi strane creature che strisciano sulla tua carne. Certamente non pensi che sei morto e che i vermi si stanno cibando del tuo corpo, non rientra nelle consuete prospettive dei vivi considerarsi cadaveri in decomposizione.

Ora sai che anche questo fa parte della vita, è la regolare evoluzione dell’esistenza. Adesso sei cibo per noi vermi, tu stessa diventerai un verme, ti ciberai di altre salme; poi diventerai nutrimento per la terra, così permetterai ad un piccolo seme di crescere e trasformarsi in grano, o erba. E tu sarai l’erba che sazierà la mucca, generosa di latte e carne che farà crescere un uomo, e diventerà uomo che a sua volta morirà e tornerà a nutrire altri vermi.

Vedi, così si conclude il ciclo: ad ognuno di noi tocca essere carne, terra, animale o fiore e poi uomo o donna come te. Questa è la vita.”

Giulia aveva trovato la propria strada e poteva riposare in pace.

Si abbandonò serenamente al palato dei vermi, ora avrebbe dormito senza incubi.   

 

36 pensieri riguardo “Giulia e i vermi*

  1. Racconto niente affatto facile ma che riporta l’angoscia di morte alla
    natura stessa della
    morte che ci ricongiunge alla terra.
    Tutto si svolge nel corso naturale delle cose, anche se la nostra mente spesso lo rifiuta.
    Bello!!

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