qualche pezzo di me

“Ho il dovere di salvarti la vita”

Sono le parole che mi disse anni fa uno dei tanti psichiatri incontrato nei miei pellegrinaggi di mente sofferente, quando gli dissi che volevo suicidarmi; poi mi prescrisse una serie di psicofarmaci che io assunsi e abbandonai dopo poco tempo a causa degli effetti collaterali devastanti.

Sento ancora l’eco di queste parole ogni volta che mi reco a timbrare il cervello al centro psico sociale che mi ha in carico.
Là incontro la solita psichiatra da anni; io dico sempre le solite tre cose, lei mi guarda penosamente, poi mi fissa il prossimo appuntamento e scrive la solita ricetta che ormai il farmacista non mi chiede nemmeno più.
Il farmacista mi conosce, posso chiedere la quantità di psicofarmaci che desidero (tanto pago tutto, tranne un paio riconosciuti per l’invalità).
Faccio la scorta, così per qualche mese sono a posto. Le dosi del cocktail le faccio io a seconda di come mi sento, tanto non mi fanno guarire, mi fanno sopravvivere.

Sì, io sono una sopravvissuta.
Sono sopravvissuta a qualche ricovero negli ospedali psichiatrici e a tanti psicofarmaci più o meno dannosi, qualcuno anche sperimentale.
Sono riuscita a mantenere in sede il cervello, ma con l’anima è un macello.
Non c’è medicina che possa curare l’anima.

Fino a qualche tempo fa riuscivo ad alleviare il mio male andando a nascondermi nei boschi, parlando con alberi e animali di passaggio. Ma adesso non basta più.
Vado a girovagare tra boschi e colline e non sento altro che la sofferenza della terra.
Questa sofferenza mi entra dentro, e io sto male, sempre più male.

Sono così stanca.

Vorreri addormentarmi e non svegliarmi più.