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Un treno per Belvedere

“Cara Marta, ti chiedo scusa ma non riesco più a sopportare la nostra convivenza. Ho deciso di lasciarti. Sì, è vile farlo così: scomparire dicendolo con un biglietto. Purtroppo mi manca il coraggio di farlo a voce. Ti sarai accorta anche tu che negli ultimi tempi il nostro rapporto non era più lo stesso.
Me ne vado così, perché desidero evitare ripensamenti e pianti.
Vado in stazione e salgo sul primo treno in partenza, quindi non so neppure dove andrò. E non voglio saperlo, non adesso almeno. Seguirò un treno che sarà il mio destino.
Perdonami se puoi.
Addio. Francesco”

Lasciò il foglio sul tavolo fissandolo con un bicchiere per evitare che prendesse il volo.
Uscì senza prendere null’altro che gli abiti indossati, pochi soldi e i documenti. A tutto il resto avrebbe pensato successivamente.
La stazione di Milano offriva un’ampia scelta di destinazioni pronte ad accoglierlo in ogni binario. Osservò il tabellone delle partenze, scelse il treno che partiva prima di tutti gli altri. Acquistò il biglietto di sola andata sino alla meta finale, salì pensando già di scendere a una stazione di cui gli piaceva il nome.
S’addormentò dopo la quarta stazione.
Si sveglio che erano passate quattro ore e il treno da interregionale s’era trasformato il locale poiché lui era seduto dentro un vagone che prendeva una strada differente dalla motrice.
Passò oltre mezz’ora a scrutare il paesaggio. Non aveva la minima idea di dove fosse, non poteva né aveva intenzione di chiedere informazioni poiché il treno era quasi deserto e a lui non importava nulla della meta.
Guardava scorrere una campagna piatta con tanto verde e poche case, anzi cascine, ogni tanto. Agglomerati rurali di piccolo taglio, come monetine dentro un borsellino ampio e colorato.
Ogni tanto vedeva passare gente a cavallo, ma non cavalieri da passeggiata bensì cavalieri che usavano il quadrupede come mezzo di trasporto. ‘Ma dove sarò finito, di certo non nel Far West perché non mi pare che il treno abbia preso il volo o, se lo ha fatto, non me ne sono accorto.
Sarebbe il colmo, essere finito su un treno volante. Devo dire che l’idea non mi dispiace, evadere da tutto senza meta, magicamente.
Ma no, sarò finito in qualche sfigatissimo e remoto territorio di una regione qualunque chissà dove. Sono in viaggio da otto ore, di strada ne ho fatta anche se ultimamente ci fermiamo in quasi tutte le cascine, come si suol dire’.
Scese quando finalmente trovò il paese con un nome di suo gradimento: “Belvedere”.
‘Mai sentito nominare e chissà come sarà.
Andiamo a vedere. Soprattutto voglio vedere se è possibile portare a termine il mio piano‘.

Già, perché Francesco aveva un piano ben preciso. E non era fuggire di casa per non farsi trovare mai più.

Immagine dal web
Immagine dal web

Qual è il piano di Francesco?

Ancora non lo so, ma appena me lo racconta ve lo dirò.

12 pensieri riguardo “Un treno per Belvedere

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