Freak

LEGGENDO 29 SETTEMBRE IL GIORNO DOPO

Oggi è il 30 settembre, voglio leggere a modo mio una delle canzoni di Lucio Battisti tra le mie preferite: “29 Settembre”

Seduto in quel caffè
io non pensavo a te

Capitano quelle giornate un po’ così….

Guardavo il mondo che
girava intorno a me
Poi d’improvviso lei sorrise

E qui lui ci mette un giro di chitarra che fa proprio vedere quel sorriso irresistibile

e ancora prima di capire
mi trovai sottobraccio a lei
stretto come se non ci fosse che lei.

La leggerezza di pensare che si può fare…

Vedevo solo lei
e non pensavo a te….

Teoricamente quando si ama una persona tutte le altre non dovrebbero esiste dal punto di vista sentimentale e sessuale ma, purtroppo, dopo qualche tempo passato l’innamoramento infuocato arriva l’abitudine e la novità è sempre lì a tentarci.

 

E tutta la città
correva incontro a noi….

Quel momento di inebriante menefreghismo che fa partire tanta adrenalina da non poter resistere a niente e nessuno.

Il buio ci trovo vicini
un ristorante e poi di corsa
a ballar sottobraccio a lei
stretto verso casa
abbracciato a lei

L’eccitazione della cosa nuova, mani diverse, labbra differenti, fianchi seducenti, sono inarrestabili come il canto delle sirene per Ulisse
quasi come se non ci fosse che,
quasi come se non ci fosse che lei….
quasi come se non ci fosse che lei….

E poi la notte è passata insieme all’esaltazione del momento

Mi son svegliato e
e sto pensando a te…
Ricordo solo che,
che ieri… non eri con me.

Già lei impegnata altrove, lui solo ad annoiarmi, le tentazioni fioccano ma poi svaniscono in fretta

Il sole ha cancellato tutto…
Di colpo volo giù dal letto
e corro la al telefono

“Ma sei tu quella che amo e non voglio perderti per il capriccio di un attimo”
e parlo, rido e tu, tu non sai perché
t’amo, t’amo e tu, tu non sai perché
t’amo, t’amo e tu, tu non sai perché…

E non dirmelo mai perché, taci e fai come se nulla fosse accaduto perché io non saprei perdonarti, se mi ami e vuoi tenermi taci e dimentica

(Quest’ultima frase è un’avvertenza di sicurezza per chi intende avvicinarsi a una come me)

http://youtu.be/ZDmdbmLqGTE

5 pensieri riguardo “LEGGENDO 29 SETTEMBRE IL GIORNO DOPO

  1. Un brano fantastico; bello il tuo commento. Io preferisco la versione dell’Equipe 84 con la voce di Maurizio Vandelli.
    Mi piacerebbe regalarti una pagina del mio primo libro che sembra proprio “ispirata” a ciò che tu hai commentato.
    Grazie per aver “risvegliato” alcuni ricordi della mia pre-adolescenza.

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      1. Grazie a te.
        Quando, dopo l’incontro, si ritrovò a pensare a quel giorno, tutti i fatti gli sembrarono un solo lungo momento magico. Non c’erano altre parole per indicarli; raccontare a parole cercando di far comprendere al nostro interlocutore che ogni particolare era importante per rendere chiara l’immagine del momento, e che non poteva essere tralasciato per esprimere “cosa” era accaduto, sarebbe stato, oltre che noioso, impossibile, come cercare di eseguire “a parole”, raccontare, la melodia del secondo movimento della Settima sinfonia di Ludwig Van Beethoven.
        Ma forse, anzi sicuramente, sarà utile raccontare come, in quale contesto, è nato questo incontro. Niente di speciale che non possa appartenere a questo mondo né una cosa fuori dai mondi di questo mondo. Tutto, momento dopo momento, non è altro che una sequenza naturale di fatti ed eventi quotidiani, comportamenti di attenzione, sguardi, domande, gesti di cortesia, leggeri contatti, battute ironiche, scherzi, complicità, autoironia. Niente di speciale in fondo se non consideriamo il contesto interno dell’organismo.Da qualche giorno Rehin era impegnato in una serie di conferenze organizzate, dalla società presso la quale lavorava.A tre di quelle cinque conferenze aveva partecipato anche Tànila, certamente per pura curiosità professionale e non sappiamo se lei, in qualche modo, fosse attratta da lui ancor prima di incontrarlo o se questa sensazione era nata durante quelle sessioni. È possibile anche il gioco di entrambe le dinamiche e che quindi ci sia stata una sorta di scambio tra realtà e immaginazione. Certamente, qualcuno giurerebbe sia andata così.
        C’era, in Rehin, aria di fretta, voglia di andare via, forse stanchezza e sicuramente un po’ di caldo. La relazione finale era volata via e non bisognava farsi prendere da altri sensi del dovere. Cercò di guadagnare l’uscita. Nel gruppo che si avviava all’uscita c’era, oltre a Tànila, un suo conoscente, un collega di un’altra Agenzia, che si era avvicinato a lei con fare molto interessato e lei con fare molto disinvolto lo ascoltava; insieme a lui un’altra persona mai vista.
        «È il momento di trovare una via di fuga» disse sorridendo Rehin e, visto che nessuno accennava ad andare via e con chi, partirono altri convenevoli di presentazione.
        Fu lui, dato che avevano avuto modo di interagire durante l’intervento, a presentarla a Claudio e all’amico. Nello spazio dedicato alle domande, lei si era presentata con nome e cognome, prima di formulare la domanda di approfondimento. Lo sconosciuto disse il suo nome ma già Rehin non stava più ascoltando gli stimoli esterni, era stanco ma più che altro fu aver detto quel nome in maniera così naturale che lo aveva messo fuori dal contesto esterno. Un attimo di distrazione e si accorse, forse troppo tardi, di aver detto di sì alla proposta di Claudio di andare a bere qualcosa di fresco e dissetante. Capì, risvegliandosi da quell’attimo di assenza, che lei forse aveva altro da fare o da proporre ma non aveva avuto il tempo di parlare. Leggeva nei suoi occhi una sorta di imbarazzo addolcito da un sorriso che diceva “Farei qualsiasi cosa pur di stare a parlare con te. Accetto”.Seduti al bar a sorseggiare una bevanda poco alcolica Rehin cercava di stare attento a cogliere ed elaborare in tempo tutti i segnali formali ed evitare che il collega gli proponesse qualcos’altro da fare, non ne aveva proprio voglia. Allo stesso tempo cercava di ascoltare quello che Tànila e quel tizio si dicevano, qual era l’argomento: era evidente che i due non si conoscevano per nulla e che lui stesse provando a invitarla a cena per parlare del suo affascinante “lavoro col distintivo”, lucente e minuscolo, ostentato sull’occhiello della giacca.
        Una telefonata arrivò sull’antiquato I-phone di Rehin; sfiorò col pollice il sensore, come per accendere un vecchio accendisigari a pietra focaia, e rispose senza guardare il mittente sul il display.«Oh sì, certo, scusa, no non mi sono dimenticato, certo che arriviamo» fece una breve pausa e continuò «ci siamo concessi un attimo di calma con alcuni amici. Arriviamo prima possibile». Chiuse la comunicazione e guardando in viso i presenti uno alla volta esclamò: «Ho appena detto una grossa bugia: me ne ero completamente dimenticato; un impegno diplomatico».
        Guardò Tànila e si accorse che sul suo viso stava prendendo forma un’espressione inquieta, come se stesse maturando il sospetto di essere lasciata lì e prontamente continuò: «Vedo che anche tu te ne eri dimenticata: dai andiamo, ci aspettano».
        A quel punto Tànila esclamò: «Santo cielo, completamente cancellato dalla memoria» lasciò scivolare in basso il braccio destro mentre si appoggiava allo schienale della sedia, si toccò la fronte con i polpastrelli della mano sinistra, scosse leggermente la testa socchiudendo gli occhi e concluse «che figura».
        A quel punto la “dimenticanza”, oltre a rappresentare un motivo, assumeva priorità; si scusò formalmente con Rehin e portando il corpo in avanti, con molto garbo, verso il tavolo, con movimenti precisi, rapidi ma non convulsi senza ostentare fretta né imbarazzo, raccolse quello che aveva poggiato sul tavolo, mentre finiva di parlare con lo sconosciuto, invitandolo a rimanere seduto e finire con calma il suo cocktail.
        Si alzarono; poche parole, strette di mano, sguardi dispiaciuti (veri e falsi) e finalmente via: direzione opposta a quella di arrivo. Prima traversa a destra per poi sparire in quell’altra e imboccare il Corso principale. Qualche decina di metri e il loro passo rallentò notevolmente. Rehin si fermò e si girò verso di lei per parlarle, lei fece lo stesso. Insieme aprirono bocca; lui disse:
        «Scusa ma pensavo che quel…».
        E lei contemporaneamente:
        «Grazie, quel tipo stava diventando…».
        Quando finirono risuonarono in aria, all’unisono, le ultime parole di lui e di lei, rispettivamente: antipatico & pesante. Sorrisero e con quegli occhi si dissero reciprocamente, implicitamente ma chiaramente:
        «Grazie».
        Ognuno avrebbe detto grazie all’altro per aver fatto in modo, in complicità, di rimanere a parlare; da soli. Era questo che entrambi avevano sentito di desiderare, al di là delle parole dette, degli sguardi accennati e nascosti alla vista reciproca.
        Non possiamo dire che i due parlando stessero guardando, reciprocamente, alla esteriorità e neanche alla loro interiorità; entrambi erano investiti dall’altrui fascino. Un desiderio di vicinanza, di contatto visivo e forse anche fisico ma garbato, sensuale e protettivo allo stesso tempo. Una strana, magica, alchimia di sensazioni: quei due si ascoltavano, reciprocamente, con gli occhi.
        Renato Gentile

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