qualche pezzo di me

Occhi a terra, puttana!

Ieri era il mio compleanno e finalmente è arrivato il regalo tanto atteso: la musica! Mi è stato proibito di acquistare dischi negli ultimi giorni perché gli amici quando non sanno che cosa regalarmi se la sbrigano con cd o libri sempre a me graditi, infatti così è stato e oggi ho nuove note da ascoltare.

Ora i compleanni sono solo occasioni per stare un po’ insieme, ma quando si è giovanissimi ci sono aspettative maggiori e sicuramente anche momenti di felicità.

Ieri mattina ho ascoltato alla radio un discorso sulla gelosia tra coppie. Si diceva che è abbastanza diffusa l’abitudine di proibire ai reciproci partner di salutare altri uomini o donne, portando ad esempio amici o colleghi che incontrati da soli hanno atteggiamenti sereni e amichevoli, mentre in compagnia dell’amato bene addirittura fingono di non conoscere nessuno.

Questo discorso mi ha riportato indietro nel tempo, all’epoca del mio primo “fidanzato” che usava dirmi quando eravamo per strada insieme: “Occhi a terra puttana”, e lo diceva seriamente perché non sopportava che io guardassi o fossi osservata da altri uomini.

Da qui è partita una lunga serie di ricordi a proposito dei compleanni; infatti, per me, questa ricorrenza non è tra le più amate da quando ne ho compiuti diciotto poiché, quello, è stato uno dei giorni più brutti della mia vita. E ne ho ben donde, giacché si stava avvicinando l’apoteosi di un’adolescenza cancellata da un ragazzo che oggi sarebbe uno stalker perfetto.

Quando lo conobbi, a una festa della scuola, non avevo ancora quattordici anni, lui diciannove quindi, a differenza dei miei coetanei, ebbe il coraggio di farsi avanti senza badare agli altri pretendenti. Dopo la festa, mi accompagnò a casa e decise che ero la sua ragazza. Era un bel tipo, intraprendente e galante, giocava nella squadra locale di calcio, studente universitario modello, atleta perfetto e senza vizi (beveva solo acqua, non fumava, non conosceva nemmeno il gusto del caffè) la cotta per lui fu immediata.

Siccome era più grande di me, mio padre pretese di conoscerlo perciò, dopo un mese, io a tredici anni e mezzo ero fidanzata “in casa” con un ragazzo di diciannove.

Mauro (così si chiamava) mi piaceva, e mi piaceva essere la sua ragazza, ma non avevo pensato neppure lontanamente di farlo diventare l’uomo della mia vita. Cosa che invece, lui, aveva già deciso. Era figlio del bidello del liceo, viveva con padre madre e un fratello minore di un anno. La sua famiglia, composta di tre uomini e una donna, era guidata in tutto e per tutto dalla dispotica madre che oltre ad annientare totalmente il marito, teneva i figli soggiogati dalla sua malsana conduzione matriarcale.

Questa mamma bisbetica gli aveva insegnato che doveva scegliersi una bella ragazzina e “tirarla su” come voleva lui per poterla un giorno sposare. Ovviamente in questo “tirarla su” lo zampino lo avrebbe messo anche lei.

Io, che stavo cercando di uscire dai traumi di un’infanzia tormentata, non immaginavo certo che da quel momento sarei passata dal purgatorio all’inferno.

L’inferno iniziò dopo pochi mesi di fidanzamento con Mauro, quando io mi stancai delle sue pretese di impostare la mia vita (dovevo vestirmi e atteggiarmi come diceva lui, dovevo vergognarmi di essere figlia di modesti artigiani e rinnegare la mia famiglia, dovevo aspirare a migliorare la mia posizione sociale frequentando persone di rango elevato ben lontane da quelle che erano le mie amicizie abituali, e così di seguito fino a dividere tutto con lui, anche i proventi dei miei lavoretti adolescenziali, baby sitter ecc, per comprare quello che serviva a “noi”, ma che teneva lui). Presi una cotta per un altro ragazzo e mi parve naturale annunciarglielo dicendo che intendevo interrompere il nostro rapporto.

Se fino a quel momento avevo subito solo un intollerante educatore maestro di vita, da lì in avanti il mio fidanzato si trasformò in aguzzino, persecutore, carnefice.

La reazione al mio proposito di interrompere la relazione fu madornale e inaspettata: mi prese a ceffoni e disse che io non potevo lasciarlo, non potevo permettermi di decidere nulla della mia vita perché lui ne era il padrone. Mi ordinò di tacere sull’andamento del nostro rapporto, con chiunque, perché mi avrebbe uccisa!

E fu talmente convincente che io non ebbi difficoltà a credergli, ero giovanissima ma già corredata di un bagaglio di esperienze devastanti alle spalle.

I tre anni successivi furono la Geenna in terra per me.

La mia vita si trasformò in un calvario quotidiano fatto di umiliazioni, plagi, e speso anche botte.

Ripeteva continuamente che ero un essere inferiore, non ero degna di toccare nemmeno i suoi libri e i suoi oggetti, mentalmente andicappata, fisicamente inguardabile, ignorante, diseducata, obbligata a seguire i suoi insegnamenti di giovane fascista maschilista frustrato dalla madre dispotica, e quindi con un odio profondo verso le donne che sfogava su di me in tutti i modi possibili e immaginabili. Se non ubbidivo erano botte, e a volte erano botte anche se ubbidivo. Vivevo nel terrore di sentirlo salire le scale. Insegnava alle scuole serali e mi obbligava a rimanere sveglia ad attenderlo per ascoltare gli sfoghi sulla sua giornata che, se era stata tranquilla, si risolvevano con un veloce saluto, se era stata nervosa la visita serviva a scaricare le sue frustrazioni omaggiandomi della razione quotidiana di umiliazioni e insulti del tutto gratuiti. Sempre sotto minaccia di morte se avessi parlato con qualcuno di tutto questo.

Racconto solo un dettaglio tanto per fare un esempio: nell’estate dei miei sedici anni (nel frattempo mio padre era morto) mi portò in Spagna, mi fece percorrere in due settimane 6000 km, dalla nostra piccola città del Piemonte a Gibilterra, su una piccola utilitaria, dormendo in macchina o dentro una tenda militare senza fondo coprendoci con asciugamani bagnati sui materassini gonfiabili, mangiando uva e acciughe perché costavano poco e noi avevamo pochissimi soldi. Si era messo in testa di far vedere ai suoi amici che poteva permettersi un viaggio in Spagna, mostrando un reportage fotografico effettuato con un apparecchio costosissimo che io avevo contribuito ad acquistare e che ovviamente era di sua proprietà.

Vedevo posti bellissimi, percorrendo tutta la costa francese e spagnola sino a Gibilterra, attraverso le lacrime mangiando pane e sberle, perché ogni motivo era buono per maltrattarmi. Addirittura si fermava a guardare altre ragazze, dicendomi che io facevo schifo e se osavo lamentarmi mi arrivava un ceffone.

Mi portò a vedere la corrida e quando, alla morte del toro, io mi misi a urlare piangendo e imprecando contro gli spagnoli, lui mi prese a schiaffi davanti a tutti per dimostrare che non era d’accordo con me.

Questo è un episodio dei tanti, il resto lo lascio immaginare.

Ah, dimenticavo: fondamentali i nostri rapporti col sesso, si faceva tutto tranne la penetrazione. Io dovevo sposarmi vergine, con lui ovviamente. Mi metteva alla prova chiedendomi di avere rapporti completi, io dovevo sempre rispondere no, perché lui diceva che se avessi risposto affermativamente ero una puttana e quindi avrei avuto altre punizioni.

Era chiaramente uno psicopatico, frustrato dal rapporto deviato con la madre, faceva a me quello avrebbe voluto fare a lei.

Questa la mia adolescenza.

Ma il più bello doveva ancora arrivare, “il gioiello” della storia mi aspettava al compimento dei miei diciotto anni, giornata che lui mi fece passare in modo infernale e ovviamente in lacrime perché avevo tentato di fare una festicciola a casa mia senza interpellarlo sulla scelta degli invitati. La festa non si fece ed io piansi tutto il giorno.

Ed ecco il gioiello, il suo regalo del diciottesimo compleanno: dopo un paio di settimane cominciò ad accusare malesseri abbastanza comuni, ma che si ripetevano di frequente. Scoprì di avere un cancro in fase avanzata.

Non entro in particolari perché la descrizione di ciò che avvenne in seguito sarebbe esageratamente cruenta.

Mi fece ingoiare, con la cattiveria di chi vuol punire il colpevole della propria disgrazia, ogni attimo della sua malattia sino alla morte, avvenuta pochi mesi dopo in una stanza di ospedale semibuia. Noi due soli, lui consumato e devastato fino allo scheletro, io consumata e devastata nella mente guardarlo spegnersi combattuta tra la pena per quella sofferenza infinita e il sollievo della fine.

Non avevo più cervello per pensare. Non sapevo se stavo sognando o se ero morta anch’io.

Ma da lì in poi la mia vita sarebbe cambiata. 

Ero scombinata, sconvolta, disorientata, squassata e piena di lacerazioni come una povera barchetta arenata sugli scogli dopo una tempesta. Finalmente libera perché se non fosse morto, quasi certamente l’avrei sposato a forza e, probabilmente, sarei morta io.

Raccattai i cocci di quel che restava di me e cominciai faticosamente a cercare di rimetterli insieme benché fossero frantumati peggio di un vaso caduto dal centesimo piano.

Tutto ciò che è successo dopo, nel bene e nel male, l’ho scelto da sola commettendo grossi errori, pagando sulla mia pelle, imparando ogni volta a togliermi dai guai e a non ripeterli, soprattutto ho imparato a difendermi senza permettere a nessuno di alzare le mani su di me o su altre creature indifese.

Ancora adesso, a distanza di tanti anni, non ho finito di ricompormi e, probabilmente, ho messo qualche pezzo fuori posto mentre qualche altro è andato perduto, per questo motivo sono un po’ stravagante.

27 pensieri riguardo “Occhi a terra, puttana!

  1. Bhe si resta senza parole e senza fiato,credo tuttavia che invece tu debba festeggiare il tuo compleanno euforicamente xche ‘ meriti che la gioia si impossessi delle giornate future. Ti abbraccio fortissimo e auguri bella donna

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  2. Sono sconvolta da quello che hai vissuto. Non posso neanche immaginare il calvario e l’inferno che hai condiviso con quella “persona”. Oggi si sentono molte donne che raccontano la tragedia vissuta con uomini misogini e crudeli. So di dire una cattiveria ma il cancro che l’ha portato via ti ha fatto un regalo. Se non si fosse ammalato magari oltre al matrimonio avresti continuato a subire maltrattamenti fisici e psicologici fino alla fine dei giorni. In bocca al lupo per la tua nuova vita. Saluti Mariangela da Roma

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    1. Grazie Mariangela. Io ne sono “bene o male” uscita, anche se l’esperienza ha segnato profondamente la mia vita, soprattutto perché me ne ha portato via un pezzo importante, l’adolescenza.

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  3. La tua esperienza deve servire proprio a questo. i maltrattamenti che hai subito devono essere assolutamente denunciati,il clima di profonda intimidazione che hai subito,è paragonabile all’intimazione mafiosa,nn hai scampo se nn denunci.noi nn sappiamo da cosa possa scaturire tutta questa violenza, e tutto sommato nn ci interessa,visto che nn siamo dei psicologi in grado di stabilire i motivi che portano persone comuni ad agire come spietati sadici.chi subisce ha il sacrosanto dovere di denunciare alle autorità competenti.la tua lettera di denuncia, deve servire oproprio a questo, altrimenti abbiamo letto qualcosa di irritante e macabro,senza dare una risposta forte e chiara a chi legge.

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    1. Spesso le vittime di questi soprusi sono terrorizzate e quindi tacciono. Nel mio caso è stata la giovanissima età e la mancanza di spalle forti dietro me a farmi tacere. Ma devo dirti che, purtroppo, come apprendiamo dalle cronache quotidiane, spesso anche denunciare alle forze dell’ordine serve a poco. Sono note le storie di tante donne morte ammazzate dai propri mariti/fidanzati/stalker che già avevano denunciato più volte maltrattamenti e persecurzioni. Loro vengono uccise magari per strada quando escono dal lavoro massacrate dal marito che avevano già lasciato da tempo, il marito si fa due anni di galera e dopo torna fuori tranquillo ad ammazzare ancora. E’ successo, e succederà ancora.

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  4. ho letto al tua storia che ho trovato molto triste.la cosa che mi ha fatto più male è stata l’incapacità della tua famiglia di difenderti . io nn ho sorelle ma ti posso garantire che se mi fosse accaduta una cosa del genere in famiglia ,nn avrei esitato a fermare velocemente il personaggio in questione.queste cose nascondono da una grande vigliaccheria che nn si giustifica in nessun modo, ne con famiglie matriarcali, come hai accennato nei tuoi ricordi, ne in quelle islamiche come qualcuno voleva dire in un precedente messaggio.mi dispiace nn essere stato tuo fratello, il vigliacco l’avrei trasformato rapidamente ,ed educato alla vita.

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    1. Grazie Stefano. Io sono figlia unica, e non ho mai confidato a nessuno il mio dramma perché innanzitutto avevo paura di ritorsioni peggiori e poi i miei genitori avevano altri problemi da risolvere e non volevo crearne ulteriori. Mio padre era una brava persona, ma aveva qualche debolezza alla quale mia mamma doveva pensare.

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    1. Purtroppo non lo è. Anche se il fatto di raccontarlo così tranquillamente, addirittura scriverne, a qualcuno può apparire esagerato o comunque un’esibizione poco decorosa di un passato che sarebbe meglio occultare. Invece aggiungo, e lo faccio con forza, che se scendo nei dettagli, soprattutto della malattia, la storia è RACCAPRICCIANTE!

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      1. Io ne scrivo e ne parlo soprattutto perché voglio che le donne sappiano e imparino, almeno da grandi, che bisogna essere accorte con certi soggetti valutando i primissimi segnali di certe abitudini perché liberandosene immediatamente è più facile riuscire a sfuggire ad un destino assai pericoloso.
        E comunque per me è stato il proseguio terrificante di un’infanzia già segnata. Non so se ne sei al corrente, ma dai 6 ai 10 anni ho subito molestie sessuali (non violenza) da adulti, non miei parenti per fortuna, ma comunque devastanti. Probabilmente ognuno di noi ha un destino segnato. Prima o poi racconterò anche quello.

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  5. Be’, oltre alla solidarietà per tutto quel dolore, io farei leggere questa storia a quelli che inveiscono contro tutti i mediorientali indiscriminatamente prendendo a pretesto la sottomissione delle donne. Perché mi sa che quel poveraccio non era mediorientale, no?!

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    1. Assolutamente NO! Era piemontese purosangue come me, biondo con gli occhi verdi razza quasi ariana, e naturalmente detestava i “terroni”. Eppure ti giuro che usava questa frase proprio si vede in certi film.

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  6. Capisco molto bene, e toglimi una curiosità: anche tu continui a prendere sulle tue spalle le colpe degli altri? Certo che fa bene, ogni tanto, guardare a come eravamo, per essere almeno soddisfatte di avercela fatta.

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    1. Beh, le colpe degli altri non avendo neppure un gatto in casa non potrei neanche rammaricarmi se cattura un topo. Sul fatto avercela fatta, per certi versi certamente sì, però ogni tanto devo ancora controllare glieffetti collaterali, ad esempio l’aggressività che a volte salta fuori dirompente appena qualcuno alza la voce.

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      1. Sai, ci stavo ancora pensando, della serie “credevo che il mio bucato fosse bianco…”. Una volta mi hanno detto che da queste storie o si esce disastrati o migliorati, e quest’ultimo è indubbiamente il caso tuo, perché sei una persona eccezionale anche se forse non te ne accorgi del tutto. Ti posso abbracciare forte forte?

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